Gli Stati Uniti, l’Italia e il futuro degli sceneggiatori

Gli Stati Uniti, l’Italia e il futuro degli sceneggiatori

In un Paese come l’Italia il cui settore audiovisivo dipende in larga parte dalle produzioni provenienti dagli Stati Uniti d’America, lo sciopero degli sceneggiatori americani prima e degli attori poi ha causato e causa tuttora non poca ansia, a prescindere dal ruolo che si ricopre nella lunga filiera del cinema italiano. Ecco perché quindi abbiamo partecipato all’incontro organizzato in occasione della Festa del Cinema di Roma, dal titolo “Hollywood, attori e sceneggiatori hanno fatto… strike. E noi?”, al quale hanno preso parte esponenti di spicco della categoria sceneggiatori, da Giorgio Glaviano, presidente della Writers Guild Italia, a Francesco Ranieri Martinotti, presidente dell’ANAC, passando per sceneggiatori come Leonardo Fasoli e Roberto Marchionni, in arte Menotti. L’obiettivo dell’incontro era chiaro: a seguito del lungo sciopero indetto dal sindacato americano che si è concluso con una vittoria, fare il punto della situazione in Italia.

Al momento, nel Bel Paese, la situazione non è certo rosea, come dimostrano i risultati del sondaggio indetto da Writers Guild Italia su cento sceneggiatori: in un’industria cinematografica come quella italiana il cui fatturato aumenta esponenzialmente anno dopo anno (ad esempio, l’anno scorso ha visto un incremento pari a 672 miliardi) e i costi di lavorazione hanno subito un aumento del 30%, gli sceneggiatori vengono pagati come prima, se non meno. E per aggiungere al danno la beffa, alla richiesta di lavorare alla stessa cifra, si aggiunge quella di lavorare in sempre meno tempo: se un anno fa, infatti, si poteva lavorare anche un anno a una sceneggiatura, oggi quello stesso prodotto viene richiesto in massimo due mesi; una richiesta che chiaramente va a inficiare la qualità stessa del prodotto in questione, non tanto per mancate capacità dell’autore, ma per una più semplice mancanza di tempo.

Come rimediare a una situazione così negativa?
Le soluzioni proposte sono due: la prima riguarda la creazione del CCNL sceneggiatori, da anni paventata dalle associazioni di categoria, ma mai fin qui ottenuta; la seconda riguarda una soluzione che dovremmo “importare” dagli Stati Uniti, ovvero pagare di più le idee, perché è da lì che tutto ha inizio. Questa seconda soluzione si concretizzerebbe nel settaggio di una cifra minima (comunque alta) per quanto riguarda lo stipendio degli sceneggiatori, il cui mestiere estremamente specializzato, in quanto figlio di una preparazione ben precisa e di alto livello, è anche uno tra i più snobbati nel settore.

Al fine però di ottenere tali risultati, per prima cosa ci sarebbe bisogno di creare un fronte unito, come quello presentato dalla Writers Guild America (WGA) nel maggio di quest’anno alle major e agli studios (N.B. Ne abbiamo parlato qui: Facciamo il punto: Hollywood va in sciopero!). A questo proposito sono intervenuti, in diretta dagli Stati Uniti, Laura Blum-Smith e Tony Gerber, esponenti del sindacato americano, che ci hanno tenuto a sottolineare come quello sciopero sia stato indetto in quel preciso momento perché le condizioni di lavoro stavano diventando invivibili, e non solo per una questione economica, ma anche relativa all’intelligenza artificiale, uno degli argomenti più caldi del momento. Come in ogni grande dibattito che si rispetti, anche su questo argomento ci sono due fazioni: da un lato chi è convinto che l’uso dell’IA sia insensato in quanto manca di empatia e sentimenti e quindi non potrà mai andare a sostituire l’operato dell’uomo, perché, di base, si tratta di un mero algoritmo ricombinatorio, operante sulla base dei bias cognitivi del creatore dell’algoritmo stesso; dall’altra chi ritiene invece che la macchina arriverà sicuramente a saper replicare il lavoro dell’uomo, anche grazie agli input che riceve quando apprende dai copioni degli stessi sceneggiatori. Ma dato che nella vita non è sempre tutto o bianco o nero, si ritiene importante anche citare due posizioni che possono offrire spunti di riflessione su questo argomento:

  • Roberto Marchionni, in arte Menotti: pur ritenendo che l’IA imparerà a simulare le emozioni umane, lo sceneggiatore ritiene che potremmo trovare un compromesso facendola lavorare offline e utilizzandola come una sorta di staff writer, facendole ricoprire mansioni minori, così da non inficiare l’impatto dello sceneggiatore nella filiera;
  • Tony Gerber: sostenendo di ritenerla sia una minaccia sia un progresso, lo sceneggiatore statunitense ci tiene però a far notare come sia diventata argomento di discussione soltanto nel recente passato, quando invece la utilizziamo da decenni, più o meno da quando abbiamo lasciato da parte i libri per fare spazio alle ricerche su Google.

Le questioni spinose si accumulano, le risposte scarseggiano e l’ansia cresce.

Quale futuro attende il settore audiovisivo?

Roma 2023: Dialoghi sul cinema italiano

Registi e sceneggiatrici:
una conversazione sul cinema italiano

Una sala gremita.
Un panel di registi e sceneggiatrici italiani.
Una conversazione sul futuro del cinema nostrano.

In occasione della Festa del Cinema di Roma, al grande pubblico è stata offerta la possibilità di ascoltare le opinioni di tre registi (Marco Bellocchio, Paolo Genovese, Pietro Castellitto) e di tre sceneggiatrici (Monica Rametta, Valia Santella, Francesca Manieri) riguardo il futuro del cinema italiano, in un incontro organizzato al museo Maxxi, dal titolo:

“Può esistere un cinema italiano capace di conquistare il pubblico italiano ed europeo?
Il punto di vista dei registi e sceneggiatrici”
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Nonostante gli ospiti vengano interpellati uno alla volta, la risposta si potrebbe definire corale: certo che sì, il cinema italiano ha sicuramente tutte le carte in regola per conquistare il pubblico internazionale, come dimostra il fatto che tra il 2017 e il 2022, le esportazioni di film italiani sono incrementate del 120%, grazie anche all’aumento di co-produzioni europee e internazionali e a un incremento dei fondi.

Ciò che tuttavia sembra mancare non è tanto la capacità, ma la voglia di espandere i propri orizzonti, producendo film pensati per attrarre anche il pubblico internazionale.
A tal proposito, è emblematico il caso di “Perfetti Sconosciuti” che, come sottolineato dallo stesso regista Paolo Genovese, è diventato soltanto per pura fortuna un successo all’estero: non soltanto a livello di incassi in sala, ma a livello di concept, tanto da essere stato in seguito venduto in molti Paesi; dietro la pellicola, infatti, non c’era alcun tipo di pianificazione per quanto riguardava export e distribuzione internazionale. Il suo successo all’estero è quindi da imputare alla sola trama? Se è vero che l’importanza della trama non può essere sminuita, è altrettanto vero che, come ribadito anche dalla sceneggiatrice Valia Santella, il punto di forza del cinema è il fatto che questo ci fa indagare noi stessi e le nostre azioni, mettendoci di fronte a interrogativi che il film non vuole sviscerare, ma portare alla luce. Il cinema, infatti, non è soltanto quello d’autore, ma è tutto ciò che arriva al pubblico, sia questa una storia tratta dalla quotidianità, un blockbuster o un film indipendente in dialetto. Non soltanto tutto è cinema, ma tutto può diventare cult. Affinché tutto ciò possa avvenire, però, è prima necessario riuscire a riportare il pubblico in sala: il paradosso italiano, infatti, è proprio questo, l’Italia risulta tra i primi Paesi in Europa per esportazioni, ma tra gli ultimi per numero di spettatori e in particolare, i dati mostrano che il rapporto più complicato con la sala è quello dei ragazzi tra i 20 e i 30 anni.

Comunque, a prescindere che uno si voglia concentrare sul mercato italiano o su quello internazionale, due sono gli aspetti su cui ci si dovrebbe concentrare per cercare di risollevare le sorti del settore audiovisivo italiano.      
Il primo riguarda sicuramente l’aspetto economico: contrariamente a quanto sta infatti accadendo, non dovremmo apportare tagli, ma investire. Proprio perché il settore sta vivendo un momento florido, infatti, il regista Marco Bellocchio sostiene che “Non è il momento di fermarsi [e] di arretrare, ma [quello] di spingere”, cercando di sfruttare il momento anche puntando sul mercato internazionale, costruendo un rapporto col pubblico estero che non si basi sull’uscita di un film ogni tanto, ma su un continuum di pellicole che crei tanto affetto nel pubblico da arrivare a creare un mercato a parte. Tuttavia, questa prospettiva si scontra con i tagli operati al settore dell’audiovisivo che, come ribadito da alcuni degli ospiti, sono particolarmente rischiosi per tutte quelle produzioni “di mezzo” che, in un futuro neanche troppo remoto, rischiano di scomparire.  
In secondo luogo, dovremmo tornare a mettere al centro la pellicola e il pubblico, mettendo da parte i numeri e le cifre, che stanno trasformando quella che è in tutto e per tutto un’arte in uno studio scientifico. C’è bisogno che chi lavora in questo campo torni a interrogarsi sulla visione del mondo che vuole dare perché in fondo fare cinema è questo: fornire al pubblico una storia con un punto di vista preciso che sia univoco, ma che lasci al pubblico la possibilità di interrogarsi e porsi domande sulla propria persona e su ciò che lo circonda.

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