Il doppiaggio italiano: l’inizio

Il doppiaggio italiano: l'inizio

*cough cough* Allora… l’autrice vorrebbe mettere le mani avanti e annunciare che l’intento dell’articolo in questione vuole essere quello di raccontare gli inizi del doppiaggio italiano (immagino che il titolo fosse un indizio notevole, ma non si può mai essere troppo previdenti) e non quello di ammorbare con una lezione sulla storia del cinema. Con la speranza di essere riuscita a raggiungere l’obiettivo, diamo il via alle danze.

Come spesso accade, per poter parlare di un argomento, dobbiamo prima però fare un salto indietro nel tempo e fare un pit stop ai tempi del cinema muto: all’epoca, la comprensione del film era affidata alla gestualità e alla mimica degli attori e alle didascalie che comparivano tra una scena e l’altra per “dare voce” agli attori in scena.
Questi cartelli con poche e semplici righe di testo non sono altro che precursori di quelli che conosciamo come sottotitoli e, esattamente come nel sottotitolaggio moderno, potevano essere tradotti da una lingua all’altra in base al Paese in cui il film veniva distribuito.

Poi, all’inizio del XX secolo, il cinema viene rivoluzionato dall’arrivo del sonoro, un vero e proprio evento spartiacque nella storia della settima arte, che, come tutte le novità che sconvolgono, non viene inizialmente vista di buon’occhio; ecco perché molti Paesi iniziarono a imporre restrizioni ai film provenienti dall’estero. Per quanto riguarda l’Italia, il 1929 segna la prima messa al bando da parte del regime fascista di tutti i film non in italiano, una decisione presa allo scopo di tutelare gli interessi della cinematografia nazionale. Così, per correre ai ripari e garantire la distribuzione ovunque, le case di produzione internazionali (e in particolare americane) trovano due possibili soluzioni:

  • girare più versioni di una pellicola: usando lo stesso set, ma diversi cast, la pellicola viene girata più volte;
  • realizzare il doppiaggio del film: gli attori americani si auto-doppiano in lingua italiana. La prima casa a pensare a questa soluzione fu la Fox che, nel 1929, realizzò la pellicola “Maritati a Hollywood”, un film che purtroppo ci è arrivato incompleto; la prima pellicola completa doppiata risale invece a tre anni dopo, quando la Metro Goldwyn Meyer fa doppiare, sempre da attori italoamericani, il film “Carcere”.

Entrambe queste soluzioni non riscontrano però il favore del pubblico, eccezion fatta per il successo riportato dalle pellicole di Stanlio e Ollio,  che grazie alla comicità delle loro gag e all’accento italoamericano con il quale si auto-doppiano i protagonisti, scatenano l’ilarità nel pubblico italiano.

Oltretutto queste tecniche sono molte costose e, quando vengono messe al bando, le case di produzione passano definitivamente al doppiaggio: l’avanzamento della tecnologia, infatti, adesso permette di cambiare la colonna sonora senza dover rigirare tutto il film. Il doppiaggio viene dapprima affidato ad aziende interne alla stessa Hollywood, e poi in seguito a professionisti nel Paese in cui si intende distribuire il film; la casa di distribuzione Paramount decide quindi di aprire uno stabilimento di doppiaggio a Joinville, in Francia, nel quale doppiare film destinati alla distribuzione in Italia, ma anche in Germania, Francia, ecc. Questa decisione della casa americana viene inizialmente apprezzata anche nel Bel Paese, tant’è che il regime fascista accetta di mandare attori italiani (e in particolare teatrali) a doppiare.
La musica cambia però nel 1932 quando viene pubblicato un regio decreto che vieta la distribuzione di pellicole la cui sincronizzazione non sia avvenuta in territorio italiano; nasce così il primo stabilimento di doppiaggio presso la Cines-Pittaluga, considerata la migliore e più potente società cinematografica dell’inizio degli anni ’30. La direzione viene affidata all’esperto Mario Almirante, il quale sceglie attori teatrali dalla dizione pulita e tecnici con molta esperienza, tra i quali anche dialoghisti adattatori. Nel corso degli anni, poi, nascono ulteriori stabilimenti quali, tra gli altri, Fotovox e Fonoroma.

Il doppiaggio si rivela una scelta azzeccata, che riscontra il favore del pubblico, il quale essendo a maggioranza analfabeta, faticava (quando riusciva) a leggere le didascalie. Tuttavia, il primo stile di doppiaggio italiano è ben lontano da quello che adesso risuona nelle nostre case in quanto viene fatto “nel pieno rispetto della pronuncia romano-fiorentina [e con] l’adozione di un lessico decorosamente medio e largamente comprensibile”. Questa stasi della lingua del doppiaggio rimarrà fino, all’incirca, agli anni ’70, quando l’italiano doppiato si farà meno compassato e più aperto a sfumature e dialetti, adeguandosi così alla ricchezza e alla varietà del parlato del film originale, perché, citando Federico Fellini, uno dei più grandi del cinema nostrano, “il doppiaggio è come una seduta spiritica; i doppiatori sono dei medium che daranno un’identità a quelle ombre”.

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Non piove da giorni, eppure in tutto il mondo è un tripudio di arcobaleni!

Se non lo sapeste e vi steste chiedendo di cosa parlo, giugno è il mese in cui si festeggia l’orgoglio LGBTQIA+ 🏳️‍🌈🏳️‍⚧️

Nel giugno del 1969, infatti, dopo l’ennesima ingiustificata retata in un locale LGBTQIA+ di New York, la comunità queer decise di scendere in piazza per dire basta ai soprusi da parte delle forze dell’ordine e della società, rivendicando il diritto a esistere e a vivere in pace le proprie vite.

Questo mese, sulla scia del pride month, abbiamo deciso di portare questa tematica anche nella nostra rubrica cinematografica, consigliandovi due titoli molto diversi per genere e target, ma accomunati dalla tematica queer.

Silvia consiglia: “Disclosure” (2020)
Regia: Sam Feder 
Con: Laverne Cox, Jamie Clayton, Chaz Bono, MJ Rodriguez, Brian Michael Smith, Lilly Wachowski, Angelica Ross 
Genere: Documentario 
Durata: 1h40 minuti
Doppiaggio: Non disponibile
Sottotitoli: Disponibili

Trama: Il racconto della storia della (limitata) rappresentazione trans nel cinema, dai film muti alla serie TV Pose del 2018, attraverso le parole di attori e attrici transgender che raccontano cos’è e cosa significa per loro l’industria cinematografica, sia come membri dell’industria stessa sia come utenti.

Lo consiglio perché: Spesso, nel dibattito pubblico, quando si parla di minoranze o comunità discriminate, il dibattito viene portato avanti dalle classi più “in vista” e privilegiate, che si arrogano il diritto di discutere dei diritti altrui senza lasciare spazio alle persone direttamente interessate. In questo documentario, invece, la parola viene lasciata direttamente alle persone trans, che ci raccontano in modo semplice, personale ed estremamente diretto il loro punto di vista sulla narrazione mediatica che viene portata avanti nei riguardi della loro comunità e su come questa narrazione si sia evoluta negli anni, costringendoci a farci delle domande e a guardare i prodotti audiovisivi con una percezione diversa e più inclusiva. 

Trailer: Disclosure (Trailer ENG)
Disponibile su: Netflix

Arianna consiglia: “Tuo, Simon” (2018) 
Regia: Greg Berlanti
Con: Nick Robinson, Katherine Langford, Keiynan Lonsdale, Jennifer Garner
Genere: Commedia/Romantico 
Durata: 1h50 minuti
Doppiaggio: Tuo, Simon

Trama: Simon è un adolescente come gli altri: ha una famiglia che gli vuole bene e un gruppo di amici straordinari. Il ragazzo ha però un segreto che non riesce a confessare a nessuno: è gay. Un giorno però inizia un appassionante scambio di mail con un altro studente della sua scuola, che vuole rimanere anonimo. Ma all’improvviso il suo segreto rischia di essere rivelato…

Lo consiglio perché: nella semplicità della sua trama, questo è un film che racconta perfettamente (ai ragazzi, ma non solo) cosa significa essere un adolescente alla scoperta di sé. Per di più, cosa più unica che rara, la pellicola ci mostra un coming out non segnato da tragedie personali e familiari, ma soltanto da tanta incertezza per quello che aspetta il protagonista una volta che avrà rivelato il proprio segreto. Semplice eppure di impatto, leggero ma a tratti profondo: un film equilibrato che – se siete empatici come me – vi farà piangere lacrime liberatorie. 

Trailer: Tuo, Simon

Disponibile su: Netflix, Disney+

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Eccoci tornate con un nuovo appuntamento della nostra rubrica di consigli cinematografici. Per chi ci leggesse per la prima volta, vi informiamo che questi non vogliono in alcun modo essere consigli “da critici cinematografici”, ma dei semplici e spassionati suggerimenti da parte di persone che amano il cinema.
Questo mese, sulla scia dei David di Donatello, che all’inizio di maggio hanno celebrato i successi del cinema italiano, abbiamo deciso di proporvi due titoli made in Italy:

Arianna consiglia: “Io, noi e Gaber” (2023)

Regia: Riccardo Milani
Con: Claudio Bisio, Gino & Michele, Paolo Jannacci, Jovanotti, Mogol, Vincenzo Mollica, Gianni Morandi, Massimiliano Pani 
Genere: Documentario 
Durata: 2h15 minuti 

Trama: Un documentario, un ritratto di Giorgio Gaber. La vita e la carriera dell’interprete milanese raccontate dalla famiglia, dagli amici e da chi a lui si ispira ancora oggi. Un viaggio culturale, politico e filosofico dell’Italia che fu (e forse ancora un po’ è), fatto di decine di spezzoni delle sue apparizioni televisive e dei suoi spettacoli teatrali.   

Lo consiglio perché… “Io non mi sento italiano, ma per fortuna o purtroppo lo sono”, quante volte ci è capitato di pensare una cosa simile, davanti a eventi più o meno lieti? A parer mio, questo non è documentario, ma un vero e proprio viaggio nella storia italiana, raccontata attraverso le canzoni del Signor G e le voci di tutti coloro che lo hanno conosciuto. Due ore e quindici all’insegna della musica di Gaber e di quella sua visione del mondo che così bene ha saputo raccontare l’Italia e gli italiani. 

Trailer: Io, noi e Gaber
Disponibile su: RaiPlay

Silvia consiglia: Smetto quando voglio” (2014)
 
Regia: Sydney Sibilia 
Con: Leonardo Leo, Valerio Aprea, Stefano Fresi, Pietro Sermonti, Libero De Rienzo, Lorenzo Lavia, Paolo Calabresi, Valeria Solarino, Neri Marcorè 
Genere: Commedia / Crime 
Durata: 1h45 minuti

Trama: Roma, giorni nostri. Pietro Zinni, brillante ricercatore universitario, viene licenziato a causa dei tagli all’università. Frustrato dalla precarietà del lavoro universitario e stanco di vedere le sue ricerche bistrattate, raduna alcuni colleghi/amici di diversi settori accademici (anche loro precari, costretti a lavorare in condizioni avvilenti) e mette su una squadra che, grazie ai talenti di ognuno, inizia a produrre e spacciare una droga intelligente.

Lo consiglio perché… Chi, barcamenandosi tra la burocrazia, università e difficoltà lavorative, non ha mai pensato (ironicamente) “Se spacciassi vivrei meglio”? “Smetto quando voglio” dà vita a quell’idea in modo leggero e divertente, che “gioca” con le difficoltà di laureati e ricercatori nel nostro Paese, portandola un po’ all’assurdo. È un film divertente, con un cast perfetto, ottimo da vedere in compagnia, e che personalmente mi tira sempre su di morale. 

Trailer: Smetto quando voglio
Disponibile su: Netflix, RaiPlay

La cultura, un patrimonio di tutti e di tutte

La cultura, un patrimonio di tutti e di tutte

Il 10 dicembre 1948, l’Assemblea delle Nazioni Unite adotta la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, stilata sulla scia della distruzione e della devastazione che la Seconda Guerra Mondiale ha lasciato dietro di sé. Il documento, che Eleanor Roosevelt definì come “la Magna Carta dell’umanità”, si basa su due assunti:

  • la dignità inalienabile di ogni essere umano
  • l’impegno a far rispettare tutte le libertà enunciate senza distinzioni o discriminazioni

Dopo un preambolo in cui si spiegano le ragioni che hanno portato alla stesura del documento stesso, la Dichiarazione si sviluppa in 30 articoli in cui vengono elencati i diritti civili, politici, economici, sociali e culturali di ogni individuo.
In particolare, all’articolo 27, si afferma che: “Ogni individuo ha diritto di prendere parte liberamente alla vita culturale della comunità, di godere delle arti e di partecipare al progresso scientifico ed ai suoi benefici.”

Da definizione quindi, il patrimonio artistico e più in generale la cultura devono essere inclusivi, aperti e accessibili a chiunque, come ribadito anche nella Convenzione ONU del 2006, nella quale si parla di diritto alla cultura. L’attuazione di questo diritto passa quindi dall’accessibilità culturale, intesa come “l’insieme di tecnologie, strategie e strumenti che possono favorire l’accesso a prodotti, ambienti o servizi culturali alle persone che non possono pienamente accedervi nella loro forma originaria”.

È un concetto così chiaro e giusto che sembra scontata la sua messa in pratica. Vero, ma solo in teoria. Come sempre, infatti, le cose sono più complicate di come sembrano. Ecco quindi spiegato il motivo per il quale non si parla ancora quanto si dovrebbe di accessibilità museale, intesa come l’individuazione e l’eliminazione di ostacoli e barriere fisiche, sensoriali e cognitive che possono limitare la partecipazione della persona con disabilità, e l’attuazione di progetti e iniziative che rendano la struttura accessibile davvero a tutti.

Per quanto riguarda l’Italia, il Ministero della Cultura ha diramato le prime linee guida riguardanti le barriere architettoniche fisiche e sensoriali nel 2008, alle quali sono seguite, dieci anni dopo, quelle riguardanti le limitazioni di tipo percettivo e cognitivo. Sempre nel 2018, con la circolare n.26 del 25 luglio, si è anche voluto introdurre la figura del responsabile dell’accessibilità; si tratta di una professionalità tecnica che dovrebbe affiancare il direttore del museo nella redazione e nell’attuazione delle strategie per l’eliminazione delle barriere, oltre che nel monitoraggio degli interventi volti alla fruizione ampliata. La ricezione di queste linee guida, tuttavia, è avvenuta a macchia di leopardo, come attestato anche dal rapporto ISTAT 2019; stando a quanto riportato nel documento, il 53% delle strutture ha implementato strategie per l’abbattimento delle barriere architettoniche, attraverso accorgimenti quali -ad esempio- rampe e ascensori, ma soltanto circa il 12% ha realizzato strategie per il superamento delle barriere senso-percettive, culturali e cognitive.

Ed è proprio all’incremento di questo 12% che è dedicato il lavoro dell’associazione “Museo per tutti – Accessibilità museale per persone con disabilità intellettiva”. Grazie a un pool di esperti in beni culturali e accessibilità e di operatori dell’ambito psicopedagogico, l’associazione si propone di creare percorsi di formazione e di progettazione partecipata del personale dei musei per creare una guida fruibile da tutti. Per facilitare la comprensione e la comunicazione, e rendere (quando possibile) indipendente e autonomo il visitatore, vengono utilizzate alcune strategie tra le quali: la redazione di mappe sensoriali, l’utilizzo di immagini e simboli come quelli della comunicazione alternativa aumentativa e la produzione di testi di riferimento scritti utilizzando il linguaggio easy-to-read, caratterizzato dall’utilizzo di un font pulito, di parole semplici e di frasi brevi. Oggi, tra i musei che rispondono alle necessità delle persone con disabilità intellettiva troviamo, tra gli altri:

  • la Reggia di Venaria (Torino)
  • la Pinacoteca di Brera (Milano)
  • il Museo degli Innocenti (Firenze)
  • la Galleria Nazionale (Roma)
  • il Museo Nazionale Romano con le sue quattro sedi (Roma)

Al netto di alcuni passi avanti che il Bel Paese ha fatto negli ultimi anni, sono ancora troppe le strutture che presentano barriere di ogni tipo, che ostacolano l’accesso a una o più categorie di persone con disabilità.   
C’è ancora tanto lavoro da fare per far sì che la cultura diventi un vero e proprio strumento di inclusione. C’è ancora molto lavoro da fare perché si concretizzi l’idea del “nessuno deve essere lasciato indietro”.

Adattamento dialoghi e doppiaggio: croce e delizia del cinema!

Adattamento dialoghi e doppiaggio:
croce e delizia del cinema!

Come avrete avuto modo di notare dai nostri social (ci seguite, vero?), abbiamo dedicato questo mese alla voce, alla giornata mondiale che la celebra e -in senso più ampio- al doppiaggio; ed è proprio su questo settore che vogliamo tornare a concentrarci, dedicando l’articolo di aprile all’adattamento dialoghi. Tuttavia, piuttosto che tediarvi con un articolo lungo e forse troppo tecnico, abbiamo deciso di proporvi un assortimento di doppiaggi (e talvolta di brevi esempi da essi tratti) con i quali vi dimostreremo quanto il lavoro del dialoghista adattatore sia al contempo importante e difficile: al netto della scelta delle voci dei doppiatori, il successo o meno di un prodotto può dipendere anche quasi interamente dalle trovate creative del dialoghista che, quando si rivelano azzeccate, possono addirittura andare a migliorare il prodotto di partenza. 

A questo proposito, vi è mai capitato di guardare  Le Follie dell’Imperatore in lingua originale? Vi sarete presto accorti che in inglese il film raramente riesce a causare ilarità nello spettatore, mentre in italiano è un concentrato di risate; questo grazie al doppiaggio, oltre a un adattamento che non adatta mai veramente ma stravolge l’originale. (Nota personale: un grazie di cuore a chiunque abbia avuto la geniale idea di accostare a grandi voci come Adalberto Maria Merli quelle di attori come Luca Bizzarri, Paolo Kessisoglu e Anna Marchesini. Quando si dice “una scelta che paga”!)

A volte invece, purtroppo aggiungerei, la scelta delle voci viene operata pensando solo alla velocità di lavorazione e ai costi. E si vede… anzi si sente! È il caso del film L’altra metà, uscito su Netflix nel 2020, e diventato immediatamente virale per la bruttezza del doppiaggio italiano. Complice infatti la pandemia, Netflix decise di far doppiare il film in italiano a persone italo-americane che, evidentemente, aveva in quel momento a disposizione in loco ed ecco così spiegata la presenza di un musicista e di un registra tra i “doppiatori” della prima versione del film. Fortunatamente, facendo seguito alle lamentele degli spettatori italiani, il 14 maggio di quello stesso anno il film è stato ricaricato sulla piattaforma con un doppiaggio ad opera di doppiatori professionisti.

E se parliamo di voci e doppiaggi, come non citare un assoluto capolavoro del doppiaggio italiano a opera di Maldesi e De Leonardis, ovvero Gli Aristogatti? Questa pellicola Disney è un esempio di adattamento praticamente perfetto: dalla scelta di far parlare gli animali con diversi dialetti (i cani da guardia Napoleone e Lafayette parlano milanese, mentre il protagonista Romeo er mejo der Colosseo parla ovviamente romano) all’adattamento dei nomi. Sia chiaro, quest’ultimo aspetto non è una scelta operata dall’adattatore, ma era all’epoca una politica Disney: i cartoni animati andavano adattati il più possibile al Paese in cui poi sarebbero stati trasmessi. Così, per assicurarsi che funzionassero per il pubblico italiano, si è andati a operare un adattamento anche dei nomi, anche se soltanto per quanto concerne gli animali. Così, solo per citarne alcuni, i tre gattini protagonisti hanno cambiato nome da Marie, Toulose e Berlioz in Minou, Matisse e Bizet e il motivo è molto semplice: si è scelto di sostituire i riferimenti originali alla regina Maria Antonietta, al pittore Toulose-Lautrec e al compositore Hector Berlioz in quanto si è ritenuto che potessero essere troppo oscuri per il pubblico italiano, preferendogli riferimenti ritenuti molto più chiari. Nel caso invece delle oche così belle da sembrare cigni (semicit.) Abigail e Amelia, si è scelto di modificarne i nomi, sostituendoli con due nomi ideali -nell’immaginario collettivo- per due zitelle incallite: Adelina e Guendalina; anche il cognome delle due non è casuale: visto infatti che l’originale Gobble rimanda all’onomatopea tipica dell’animale che starnazza nell’aia (anche se, per la precisione, rimanda in particolare a un tacchino), in italiano lo si è andati a sostituire con l’onomatopea tipica di parla troppo: Blabla.

Qualche volta però non è sufficiente sostituire l’espressione originale con la sua traduzione italiana, seppur corretta, come ci dimostra l’esempio riportato qui sotto, tratto dal film Indiana Jones e il regno del teschio di cristallo, quarto capitolo della saga dedicata al celeberrimo archeologo. Quando il protagonista elimina un assalitore, lo studente interpretato da Shia LaBeouf, stupefatto, gli chiede, in inglese:

  • You’re a professor? 
  • Part-time.

Mentre in italiano chiede:

  • E tu saresti un professore?
  • Qualche volta.              

La traduzione è corretta? Sì. È anche di impatto? Non troppo.          
L’ironia di quel “part-time” pronunciato dal professore non riesce, infatti, a essere veicolato dalla traduzione “qualche volta” che, per quanto corretta, risulta -come dire?- scolastica. E se è vero che il film è ambientato nel 1957 e quindi mantenere il termine “part-time” sarebbe risultato anacronistico, è altresì vero che questa soluzione risulta fiacca. Al contrario, invece, la scelta traduttiva operata per la domanda dello studente lascia trasparire perfettamente il senso di stupore veicolato dalla scena; in questo caso, addirittura, la domanda funziona meglio in italiano che in inglese dove, tradotta letteralmente, lo studente chiede semplicemente: “Sei un professore?”

Come abbiamo visto dunque, il lavoro del dialoghista adattatore non è assolutamente semplice: è un costante gioco di equilibri tra creatività e fedeltà all’originale, attenzione alle immagini e adattamento alla cultura di arrivo. A volte ne escono dei capolavori indimenticabili, a volte (decisamente) no. Si potrebbe obiettare che non è sempre interamente colpa dell’adattatore, ma questa è un’altra storia…

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Per questo appuntamento di aprile abbiamo deciso di concentrarci su due pellicole che ci hanno particolarmente colpito per la qualità del doppiaggio.
Essendo questo infatti uno dei settori in cui la cura della voce è fondamentale per poter svolgere al meglio il proprio lavoro, abbiamo pensato che aprile fosse il mese giusto per celebrarlo. E se vi state chiedendo: “perché avete scelto proprio questo mese?”, ve lo spieghiamo subito: aprile è il mese in cui si celebra la giornata mondiale della voce, un’occasione per ricordare a tutti di prendersi cura di questo strumento così importante per l’essere umano.

Arianna consiglia: “Midnight in Paris” (2011) 

Regia: Woody Allen 
Con: Owen Wilson, Marion Cotillard, Rachel McAdams, Tom Hiddleston, Kathy Bates 
Doppiaggio: Midnight in Paris 
Genere: Commedia/Romantico 
Durata: 1h34 minuti 

Trama: Lo sceneggiatore e aspirante scrittore Gil si trova in vacanza a Parigi con la futura sposa e i futuri suoceri. Da sempre affascinato dalla Ville Lumière e dal suo passato, Gil finirà per caso (o forse per magia) nella Parigi degli Anni Venti, l’anima della cultura europea dell’epoca. Notte dopo notte, guidato dall’affascinante Adriana, Gil scoprirà quindi pregi e difetti dei Ruggenti Venti, facendo nel mentre la conoscenza di artisti del calibro, tra gli altri, di Hemingway, Dalì, Picasso e Fitzgerald. 

Lo consiglio perché… Chi di noi non ha mai pensato “come mi sarebbe piaciuto nascere in un’altra epoca” per vivere questo o quell’avvenimento? Con questo film si ha finalmente l’occasione di vivere questa esperienza, ritrovandosi catapultati tra artisti di cui abbiamo soltanto sentito parlare o che abbiamo soltanto avuto occasione di studiare. Allen ci porta in un mondo vecchio, ma allo stesso tempo nuovo, per farci capire che se è vero che nessuno si sente completamente felice dove si trova, allo stesso tempo è altresì vero che non abbiamo alcun modo di sfuggire a ciò che siamo. Con il supporto di un cast a dir poco strepitoso, di un’ambientazione da favola (Parigi, descritta come solo Allen sa fare), di una colonna sonora che resta nel cuore, e di un doppiaggio magistrale, questo film vi travolgerà. E sarà bellissimo. 

Trailer: Midnight in Paris 
Disponibile su: Now TV (Cinema) 

Silvia consiglia: “Zootropolis” (2016) 
Regia: Byron Howard, Rich Moore, Jared Bush 
Con le voci di: Ilaria Latini, Alessandro Quarta, Massimo Lopez, Roberto Fidecaro
Doppiaggio:
Zootropolis 
Genere: Animazione 
Durata: 1h48m 

Riconoscimenti: Premio Oscar al Miglior Film d’Animazione 

Trama: Un mondo animale non più diviso tra prede e predatori ma armoniosamente coabitato da entrambi. Nella capitale Zootropolis, la volpe Nick sbarca il lunario usando una serie di espedienti, mentre la coniglietta Judy, che sogna di diventare una poliziotta, si ritrova a essere una semplice ausiliaria del traffico, perché se è vero che non ci sono più predatori, gli stereotipi sono ancora ben presenti. Toccherà proprio a questa improbabile coppia risolvere il mistero dei 14 animali scomparsi e sventare i piani di chi vuole impossessarsi del potere. 

Lo consiglio perché… Tra i successi del doppiaggio italiano non posso non menzionare il doppiaggio di film di animazione, che fa sognare generazioni di grandi e piccini. La Disney presta da sempre moltissima attenzione all’adattamento della voce e degli elementi culturali nei suoi prodotti, e Zootropolis è un film che mi è rimasto nel cuore anche per questo. Oltre alla trama frizzante e coinvolgente, l’ambientazione in un mondo di fantasia e la presenza di animali parlanti ha permesso al doppiaggio di spaziare tra i diversi accenti italiani e di rendere i personaggi ancora più vivi e più divertenti, tra un bue muschiato toscano, una donnola romana e dei toporagni siciliani, a cui si aggiungono riferimenti a serie e film cult che tutti noi possiamo provare a riconoscere, e personaggi come il bradipo Flash che secondo me dimostrano di essere assolutamente iconici. 

Trailer: Zootropolis 
Disponibile su: Disney+  

I sopratitoli a teatro

I sopratitoli a teatro

Quando si parla di traduzione audiovisiva, si pensa istintivamente al doppiaggio dei film (settore in cui l’Italia eccelle) o ai sottotitoli interlinguistici e intralinguistici che ormai ogni piattaforma offre ai propri utenti.  Ciò che raramente invece avviene è che questa espressione venga associata a un teatro o a un anfiteatro, luoghi dunque adibiti alla messa in scena di opere teatrali o persino liriche. Per quanto questo specifico ambito esuli dalle conoscenze di chi scrive, nella giornata internazionale del teatro ci sembrava doveroso spendere qualche parola per raccontare un tipo di lavorazione tra le meno conosciute del settore, ma non per questo meno difficoltosa o meno degna di nota: la sopratitolazione teatrale, intesa come la trascrizione o l’adattamento in una lingua diversa da quella originale, di un testo cantato o recitato dal vivo, durante una rappresentazione teatrale e proiettato o trasmesso elettronicamente su uno o più schermi, il principale dei quali si trova in genere sopra il proscenio nel boccascena.

La sua origine          
La sua storia inizia in epoca recente, e in particolare comincia nel gennaio 1983, in Canada, quando il direttore artistico della Canadian Opera Company decide di proiettare sul proscenio le didascalie con la traduzione del libretto dell’“Elektra” di Strauss, rappresentata in lingua originale. L’esperimento si rivela un successo e, nonostante qualche oppositore, questa tecnica si diffonde velocemente prima in America e poi in Europa, dove arriva per la prima volta nel 1986 a Firenze.

La lavorazione
Diversamente da quanto avviene per i sottotitoli televisivi o cinematografici e a prescindere che si tratti di una lavorazione intralinguistica o interlinguistica, la creazione dei sopratitoli passa per tre fasi:

  • Traduzione (quasi) letterale;
  • Traduzione del libretto, che sarà disponibile a teatro nei giorni precedenti la messa in scena;
  • Traduzione dei sopratitoli: fase più complessa della lavorazione in quanto prevede la traduzione e l’adattamento dei sopratitoli di pari passo alle prove generali dell’opera. In questa fase in particolare si va a lavorare sullo snellimento del testo originale, andando, ad esempio, a privarlo di un’eccessiva aggettivazione per rendere più semplice e fluida la lettura. 

Obiettivo dei sopratitoli
La creazione dei sopratitoli è volta, così come quella dei sottotitoli, a semplificare la comprensione del testo cantato, rendendo così più fruibile lo spettacolo. Al netto, infatti, di un pubblico che generalmente si approccia all’opera conoscendo già trama e testo, risulta talvolta di difficile comprensione ciò che gli attori stanno recitando; ecco così spiegata, tra le altre cose, l’esistenza dei sopratitoli intralinguistici, che numerosi teatri in Italia adoperano anche per opere in italiano. Lo scopo ultimo è dunque quello di trasmettere al pubblico sia il contenuto del testo sia i sentimenti dei personaggi, cercando di andare a tagliare meno informazioni possibili, laddove non sia necessario per limitazioni tecniche.

I maggiori pro e contro della sopratitolazione
Uno dei pro di questo tipo di traduzione audiovisiva l’abbiamo appena citato ed è, evidentemente, il fatto che l’esistenza del sopratitolo aiuti la fruizione da parte del pubblico, così come – venendo a un secondo aspetto a favore – il fatto che la posizione degli schermi intorno al palcoscenico, siano essi posizionati sopra il proscenio o ai lati, favorisce l’accesso agli stessi da parte di tutti gli spettatori, ovunque essi si trovino seduti.

D’altro canto, però, proprio gli schermi sono al centro delle critiche da parte dei detrattori di questa tecnica. Lo schermo, secondo loro, presenta infatti due gravi difetti: da un lato, lo schermo al LED crea una luce che distrae, più o meno parzialmente, lo spettatore, mentre dall’altro la sua dimensione ristretta non permette la traduzione in più di una lingua; questo secondo aspetto risulta di particolare gravità in Paesi nei quali non vi sia una sola lingua nazionale (come in Belgio), dove si crea dunque una disparità di comprensione negli spettatori a seconda della lingua utilizzata.

Il ruolo del proiezionista
Per concludere veniamo al ruolo del proiezionista, che talvolta può persino coincidere con quello del traduttore. Il suo lavoro, il quale consiste nel proiettare manualmente le didascalie sugli schermi, nasconde un’insidia non di poco conto; come abbiamo visto, la traduzione dei sopratitoli avviene di pari passo con le prove generali dell’opera, ma per quante prove si possano fare, l’imprevedibilità della rappresentazione dal vivo rischia di creare dei problemi. Per questo viene richiesto al proiezionista, anche qualora non sia il traduttore, di conoscere non soltanto bene l’opera ma anche la lingua in cui l’opera è rappresentata: questo perché deve essere in grado di distinguere precisamente il momento nel quale far entrare/cambiare/far uscire la didascalia a schermo.

E voi avete mai assistito a un’opera che presentasse i sopratitoli?
Da che parte state, pro o contro?

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Marzo è il mese della primavera, dei fiori che sbocciano (con grande rammarico degli allergici al polline) e della notte che per eccellenza celebra il cinema: 
                                                   ✨ la notte degli Oscar ✨
Che siate o meno tra quelli che seguono l’evento in diretta, organizzando serate a tema con gli amici e facendo pronostici su vincitori e vinti, sicuramente vi sarà capitato sia di provare grande soddisfazione per la vittoria dell’attore o dell’attrice che preferivate, sia di rimanere delusi quando il film che volevate non si è aggiudicato la statuetta.
Ecco perché abbiamo ritenuto giusto citare nei nostri consigli cinematografici del mese sia un film vincitore dell’ambito premio, sia una pellicola che, al contrario, non ce l’ha fatta.
D’altra parte, ciò che conta davvero è che il film emozioni gli spettatori…

Arianna consiglia: “The Fabelmans” (2022)

Regia: Steven Spielberg
Con: Michelle Williams, Paul Dano, Gabriel LaBelle
Doppiaggio: The Fabelmans
Genere: Drammatico
Durata: 2h 31 minuti 

Trama: Ambientato tra l’Arizona e la California tra gli anni ‘50 e i ‘60, il film racconta la storia della famiglia Fabelman, e in particolare quella del piccolo Sammy. Spronato da un lato dall’amore della madre per l’arte in tutte le sue sfaccettature e dall’altro dal fascino della tecnologia instillatogli dal padre, Sammy trova nel fare cinema la sua strada. Quello stesso cinema che gli sarà ancòra di salvezza una volta scoperto un grande segreto familiare… 

Lo consiglio perché… Sarebbe una grave mancanza da parte di un’appassionata di cinema come me non menzionare uno dei film che mi ha colpito negli ultimi anni. È vero, questo è il mese degli Oscar e il film di Spielberg non riuscì a portare a casa nessuna statuetta, ma cosa importa? La pellicola emoziona e coinvolge lo spettatore, che si ritrova trasportato nell’intimità del mondo di Spielberg, che con questa storia autobiografica si racconta come regista, autore e figlio. Commovente ed emozionante, il film è una vera e propria dedica d’amore al cinema. 

Trailer: The Fabelmans – Trailer Ufficiale Italiano
Disponibile su: Amazon Prime Video

Silvia consiglia: “Il caso Spotlight” (2015) 

Regia: Tom McCarthy
Con: Mark Ruffalo, Michael Keaton, Rachel McAdams
Doppiaggio: Il caso Spotlight
Genere: Thriller, Giallo
Durata: 2h 08 minuti
Premi: Miglior Film, Miglior Sceneggiatura Originale

Trama: Nell’estate 2001 il neodirettore del “Boston Globe”, Marty Baron, per prima cosa incarica il team Spotlight di indagare sulla notizia di cronaca di un prete locale accusato di aver abusato sessualmente di decine di giovani parrocchiani nel corso di trent’anni. Baron è infatti convinto che non soltanto le alte sfere sapessero degli abusi, ma che abbiano fatto tutto ciò che era in loro potere per insabbiare la questione. Ne nasce così un’inchiesta che porta alla luce numerose situazioni analoghe in ambito ecclesiale. 

Lo consiglio perché… Alzandomi dalla poltrona del cinema alla fine del film, ricordo di essermi sentita vuota, arrabbiata e commossa allo stesso tempo. Mi sono resa conto istantaneamente di aver appena finito di vedere un film che mi avrebbe segnata, che non avrei dimenticato facilmente. E così è stato. A distanza di quasi 10 anni, continuo ad essere convinta che questo film sia uno di quelli che si sia davvero meritato la famosa statuetta come Miglior Film e Miglior Sceneggiatura originale. Tratta un tema complesso e rischiosissimo in modo estremamente delicato, toccante e coinvolgente, riuscendo a scioccare, indignare ed emozionare senza scadere in esplicitazioni visive e in dettagli troppo abbondanti, dimostrando un grande rispetto e un grande equilibrio. 

Trailer: Il Caso Spotlight – Trailer Ufficiale Italiano

Disponibile su: Amazon Prime Video 

RestART consiglia…

RestART consiglia...

Eccoci a un nuovo appuntamento con la nostra rubrica di consigli, che questo mese non poteva che essere dedicata all’amore, nel mese che vede la festa degli innamorati. Ricordandovi che questi suggerimenti non vogliono in alcun modo essere una critica cinematografica, ma soltanto dei consigli da parte di persone appassionate di cinema, eccovi, con colpevole ritardo, le nostre scelte per una serata a tema amore, a prescindere che la passiate da soli o in compagnia: 

Arianna consiglia: “Prima o poi mi sposo” (2001)

Regia: Alan Shankman
Con: Jennifer Lopez, Matthew McConaughey
Doppiaggio: Prima o poi mi sposo
Genere: Commedia romantica
Durata: 1h 44 minuti 

Trama: L’italoamericana Mary Fiore è una rinomata wedding planner così dedita al proprio lavoro che alla propria vita sociale preferisce l’impegnarsi anima e corpo nell’organizzare il più bel giorno della vita delle coppie di sposi che si rivolgono alla sua agenzia. Ecco, quindi, che il padre di Mary, preoccupato per il futuro della figlia, le organizza un incontro con un giovanotto dai modi spesso imbarazzanti. Un giorno però, Mary incontra per caso Steve, un giovane e attraente medico che la salva da un cassonetto che sta per andarle addosso. L’attrazione tra i due è evidente, ma potrà mai succedere qualcosa tra i due se Steve si rivela lo sposo del prossimo matrimonio organizzato da Mary?  

Lo consiglio perché nel mese di San Valentino, come non consigliare uno dei miei film d’amore preferiti di sempre? Se come me siete appassionati di commedie romantiche, non potete assolutamente perdervi questa perla con uno dei re della commedia romantica anni 2000, Matthew McConaughey. La storia potrà sembrarvi scontata (e forse lo è), ma vi assicuro che, come ogni rom-com che si rispetti, vi farà venire voglia di innamorarvi. Cosa dire su questa pellicola per non svelare troppo? Che la guardiate in coppia o meno, accompagnate la visione con una ciotola di M&Ms… poi capirete. 

Trailer: PRIMA O POI MI SPOSO (film 2000) TRAILER ITALIANO (youtube.com) 

Disponibile su: Amazon Prime Video 

 

Silvia consiglia: “La La Land” (2016)

Regia: Damien Chazelle
Con: Ryan Gosling, Emma Stone, J.K. Simmons
Doppiaggio: La La Land
Genere: Sentimentale, Musicale, Drammatico
Durata: 2h 08 minuti

Trama: Nella città dei sogni, Los Angeles, i due aspiranti artisti Mia e Sebastian sbarcano il lunario con lavori che non li soddisfano appieno: Mia serve il caffè agli attori e alle attrici con cui spera un giorno di condividere il set, mentre Sebastian suona musica jazz in un piano bar, sognando di aprire un locale tutto suo. Accomunati da una grande passione per l’arte, i due in breve tempo si innamorano, ma proprio quando tutto inizia ad andare per il verso giusto, si troveranno a fare i conti con le rispettive ambizioni professionali. 

Lo consiglio perché nel pieno della stagione dei grandi premi del cinema e a poche settimane dagli Oscar, il mio consiglio del mese è La La Land, uno dei miei film preferiti. Grazie alle musiche e alle coreografie coinvolgenti, ai dialoghi, ai costumi e ai colori, è in grado di traghettarci in un mondo in cui l’amore romantico si intreccia con quello per i propri sogni, di farci ballare e cantare con i protagonisti, di farci gioire e piangere con loro, e di mostrarci un epilogo secondo me perfetto. 

Un inno ai sognatori che è stato la mia colonna sonora per moltissimo tempo, e che quindi consiglio di vedere e di assaporare in tutta la sua poesia. 

Riconoscimenti: 14 candidature e 6 vittorie ai Premi Oscar 2017 (tra cui Miglior regista, Miglior Attore Protagonista, Miglior Attrice Protagonista e Miglior Colonna Sonora)

Trailer: La La Land – Trailer Italiano Ufficiale (youtube.com) 

Disponibile su: Amazon Prime Video, Rai Play, Netflix, Tim Vision 

A bocca chiusa

A bocca chiusa

Tre settimane.

Tre settimane di bocche chiuse e di microfoni spenti.

È passato quasi un anno ormai da quelle tre settimane di silenzio quasi assoluto, per non dire assordante che hanno quasi completamente fermato le sale doppiaggio italiane; per chi non lo ricordasse o perché chi non lo sapesse (Davvero? Anche se non lavorate nel settore, non ricordate la polemica sulla mancata uscita della versione doppiata del finale di The Last Of Us?) tra il febbraio e il marzo dell’anno scorso, le sale doppiaggio si sono fermate a causa di un lungo sciopero di circa tre settimane che ha visto coinvolte quasi tutte le maestranze che operano nel settore doppiaggio: dai doppiatori (da cui l’intera protesta è scaturita) ai fonici, agli assistenti al doppiaggio; eccezion fatta per poche e generalmente piccole realtà, la filiera si è fermata.

Alla base dello sciopero, c’era una richiesta: quella di tornare al tavolo per discutere il rinnovo del CCNL Doppiaggio, scaduto ormai da 15 anni, eppure ancora vigente; la contrattualistica non era andata di pari passo con il cambiamento e le maestranze del settore si trovavano a non essere più tutelate. Come è stato messo in chiaro da molte voci in numerose interviste rilasciate durante le tre settimane di sciopero, la questione andava però anche al di là della mera protezione personale: oltre alla richiesta di una migliore retribuzione e di tempistiche di lavoro più umane, infatti, per molti dei doppiatori coinvolti nello sciopero, la questione riguardava anche la dignità e la qualità del doppiaggio italiano, un settore che è sempre stato un vanto del nostro Paese. Se è vero che le ultime ricerche dimostrano che più dell’80% degli italiani predilige la visione di prodotti doppiati, è altresì vero, infatti, che negli ultimi anni si è riscontrato un calo della qualità del doppiaggio; un generale impoverimento che in molti hanno riscontrato non soltanto nella qualità dei dialoghi, ma anche nel lessico utilizzato e persino nella qualità dell’audio fornito.

Una situazione, questa, figlia però di un lento cambiamento che ha stravolto la filiera; mentre, negli anni ’90,  la lavorazione dell’edizione italiana di un film (comprensiva di adattamento dialoghi e doppiaggio) poteva essere anche di un mese e mezzo, in tempi più recenti, le tempistiche per lo stesso film si sono ridotte a mere due settimane, tre quando va bene. Viene quindi da sé che tutto ciò che prima veniva curato nei minimi dettagli (dall’adattamento dialoghi all’interpretazione dei doppiatori in sala), adesso è costretto a passare in secondo piano per lasciare spazio a una ricerca di aderenza alla voce e al senso originali che, in un momento non meglio specificato di questo processo, sono diventati gli elementi più importanti a cui attenersi.

E questo ci porta, a cascata, a parlare del secondo grande motivo dietro lo sciopero: ci diciamo sempre che la macchina non potrà mai rimpiazzare del tutto l’uomo perché soltanto l’uomo è capace di provare (e provocare) emozioni, ma se la qualità cala in maniera così drastica rendendo certi prodotti asettici, cosa impedirà all’intelligenza artificiale di rimpiazzare gli umani nella filiera? E a questo proposito, come si frena la sempre più preponderante presenza della macchina all’interno di un settore come quello del doppiaggio? Da sempre i doppiatori, per contratto, firmano una cessione dei diritti della propria voce che, finora, è servita a garantire la libertà alle case di produzione di utilizzare le voci doppiate a fine di marketing (si pensi ad esempio ai tagli operati al video per realizzare i promo dei prodotti); ma se nessuno si impegna a contrastare l’uso indiscriminato dell’IA, di cui già ci sono esempi online, cosa impedirà ad aziende e persino a privati di sfruttare le voci dei doppiatori per ulteriori fini? Può sembrare un problema per il futuro, ma è purtroppo un problema del presente: basti chiedere a Christian Iansante, voce, tra gli altri, del personaggio di Rick nella serie Rick e Morty, che ha trovato online degli estratti del cartone doppiati con la sua voce che lui però non ha mai registrato. E perché fermarsi a questo se l’IA sarà addirittura in grado di utilizzare sample di voci esistenti per crearne una nuova da poter usare indiscriminatamente?

Sebbene lo sciopero sia durato “solo” tre settimane, questo è bastato per riportare le parti al tavolo e così, dopo mesi di riunioni, il 6 dicembre 2023 si è giunti finalmente a un accordo, con la stipula del nuovo CCNL Doppiaggio, che potete trovare qui, sul sito dell’ANICA, Associazione Nazionale Industrie Cinematografiche Audiovisive e Digitali: Rinnovato il CCNL Doppiaggio.    
Nel comunicato stampa che ne ha dato notizia, il contratto viene definito “innovativo e adeguato ai tempi, articolato e migliorativo per le parti coinvolte. [La ratifica di suddetto contratto] adegua finalmente la normativa contrattuale del Settore Doppiaggio ai numerosi cambiamenti, anche tecnologici, avvenuti negli anni, con l’obiettivo di renderla quanto più attuale e concreta, esigibile e innovativa. Tra le novità qualificanti del nuovo accordo, l’inserimento di un intero articolo dedicato all’intelligenza artificiale, e l’aggiunta di un recupero salariale a fronte di una riduzione dei ritmi di lavoro, a favore di un miglioramento sostanziale della qualità della prestazione e quindi del prodotto finale.

Adesso che il problema sembra essere parzialmente risolto, almeno a livello normativo, in realtà, la domanda che la gran parte del settore si pone è la stessa che in molti si ponevano con l’accordo ponte precedente: quante realtà del settore si atterranno davvero alle nuove regolamentazioni, soprattutto per quanto riguarda le tariffe? A fronte di quanto ottenuto, la situazione rimarrà invariata o qualcosa cambierà davvero? 
        
Ai posteri (o forse semplicemente a noi tra qualche mese) l’ardua sentenza.

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