La cultura, un patrimonio di tutti e di tutte

La cultura, un patrimonio di tutti e di tutte

Il 10 dicembre 1948, l’Assemblea delle Nazioni Unite adotta la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, stilata sulla scia della distruzione e della devastazione che la Seconda Guerra Mondiale ha lasciato dietro di sé. Il documento, che Eleanor Roosevelt definì come “la Magna Carta dell’umanità”, si basa su due assunti:

  • la dignità inalienabile di ogni essere umano
  • l’impegno a far rispettare tutte le libertà enunciate senza distinzioni o discriminazioni

Dopo un preambolo in cui si spiegano le ragioni che hanno portato alla stesura del documento stesso, la Dichiarazione si sviluppa in 30 articoli in cui vengono elencati i diritti civili, politici, economici, sociali e culturali di ogni individuo.
In particolare, all’articolo 27, si afferma che: “Ogni individuo ha diritto di prendere parte liberamente alla vita culturale della comunità, di godere delle arti e di partecipare al progresso scientifico ed ai suoi benefici.”

Da definizione quindi, il patrimonio artistico e più in generale la cultura devono essere inclusivi, aperti e accessibili a chiunque, come ribadito anche nella Convenzione ONU del 2006, nella quale si parla di diritto alla cultura. L’attuazione di questo diritto passa quindi dall’accessibilità culturale, intesa come “l’insieme di tecnologie, strategie e strumenti che possono favorire l’accesso a prodotti, ambienti o servizi culturali alle persone che non possono pienamente accedervi nella loro forma originaria”.

È un concetto così chiaro e giusto che sembra scontata la sua messa in pratica. Vero, ma solo in teoria. Come sempre, infatti, le cose sono più complicate di come sembrano. Ecco quindi spiegato il motivo per il quale non si parla ancora quanto si dovrebbe di accessibilità museale, intesa come l’individuazione e l’eliminazione di ostacoli e barriere fisiche, sensoriali e cognitive che possono limitare la partecipazione della persona con disabilità, e l’attuazione di progetti e iniziative che rendano la struttura accessibile davvero a tutti.

Per quanto riguarda l’Italia, il Ministero della Cultura ha diramato le prime linee guida riguardanti le barriere architettoniche fisiche e sensoriali nel 2008, alle quali sono seguite, dieci anni dopo, quelle riguardanti le limitazioni di tipo percettivo e cognitivo. Sempre nel 2018, con la circolare n.26 del 25 luglio, si è anche voluto introdurre la figura del responsabile dell’accessibilità; si tratta di una professionalità tecnica che dovrebbe affiancare il direttore del museo nella redazione e nell’attuazione delle strategie per l’eliminazione delle barriere, oltre che nel monitoraggio degli interventi volti alla fruizione ampliata. La ricezione di queste linee guida, tuttavia, è avvenuta a macchia di leopardo, come attestato anche dal rapporto ISTAT 2019; stando a quanto riportato nel documento, il 53% delle strutture ha implementato strategie per l’abbattimento delle barriere architettoniche, attraverso accorgimenti quali -ad esempio- rampe e ascensori, ma soltanto circa il 12% ha realizzato strategie per il superamento delle barriere senso-percettive, culturali e cognitive.

Ed è proprio all’incremento di questo 12% che è dedicato il lavoro dell’associazione “Museo per tutti – Accessibilità museale per persone con disabilità intellettiva”. Grazie a un pool di esperti in beni culturali e accessibilità e di operatori dell’ambito psicopedagogico, l’associazione si propone di creare percorsi di formazione e di progettazione partecipata del personale dei musei per creare una guida fruibile da tutti. Per facilitare la comprensione e la comunicazione, e rendere (quando possibile) indipendente e autonomo il visitatore, vengono utilizzate alcune strategie tra le quali: la redazione di mappe sensoriali, l’utilizzo di immagini e simboli come quelli della comunicazione alternativa aumentativa e la produzione di testi di riferimento scritti utilizzando il linguaggio easy-to-read, caratterizzato dall’utilizzo di un font pulito, di parole semplici e di frasi brevi. Oggi, tra i musei che rispondono alle necessità delle persone con disabilità intellettiva troviamo, tra gli altri:

  • la Reggia di Venaria (Torino)
  • la Pinacoteca di Brera (Milano)
  • il Museo degli Innocenti (Firenze)
  • la Galleria Nazionale (Roma)
  • il Museo Nazionale Romano con le sue quattro sedi (Roma)

Al netto di alcuni passi avanti che il Bel Paese ha fatto negli ultimi anni, sono ancora troppe le strutture che presentano barriere di ogni tipo, che ostacolano l’accesso a una o più categorie di persone con disabilità.   
C’è ancora tanto lavoro da fare per far sì che la cultura diventi un vero e proprio strumento di inclusione. C’è ancora molto lavoro da fare perché si concretizzi l’idea del “nessuno deve essere lasciato indietro”.

AUDECON: “vedere è [solo] una parola”

AUDECON: "Vedere è [solo] una parola"

Cinecittà come simbolo della storia del cinema italiano e come punto di inizio per quella che si spera sarà una conversazione che si espanderà il più possibile sull’audiodescrizione e, più in generale, sull’accessibilità e l’inclusività nel cinema.
Il 14 novembre, infatti, a Cinecittà si è tenuta la prima conferenza internazionale sull’audiodescrizione, a cui hanno preso parte esperti di tutto il mondo per creare un programma che potesse parlare di audiodescrizione da ogni punto di vista: da quello accademico (con Joel Snyder, Pilar Orero, Maria Valero Osbert…) a quello dell’industria audiovisiva con i rappresentanti di alcune realtà di produzione e di distribuzione; tutto questo senza ovviamente dimenticare le associazioni di categoria perché, come per ogni altro argomento, non si può parlare per loro senza di loro.

In generale, l’accessibilità ha fatto passi da gigante, non solo da un punto di vista di comprensione e attenzione all’ambito, passando oltre al preconcetto per il quale con accessibilità si intende soltanto quella che fa riferimento alla disabilità motoria, ma anche da un punto di vista accademico, diventando disciplina di studio che offre progetti di ricerca e corsi specialistici in tutto il mondo; tra questi, ci sembra doveroso menzionare il progetto di ricerca a cui sta lavorando ormai da anni la professoressa Pilar Orero: l’accessibilità nel metaverso. L’idea è di per sé già incredibile e in alcune sue specificità sarebbe anche accessibile, ma non lo è l’accesso stesso al metaverso in quanto comporta l’utilizzo di un visore. Come sarebbe possibile per un cieco o un ipovedente interagire con il visore così da poter accedervi? E una volta dentro, l’avatar potrebbe o dovrebbe rispecchiare la disabilità? A queste e a molte altre domande stanno lavorando da anni la professoressa e il suo team per rendere accessibile anche il mondo di domani.

Ma tornando al presente, la professoressa Elisa Perego ha spiegato che in Europa sono stati sviluppati quattro progetti la cui finalità è quella di meglio definire che cosa sia l’audiodescrizione, chi sia un audiodescrittore e quali possono essere le migliori linee guida per creare un’audiodescrizione di qualità, dove, con audiodescrizione, si intende una traccia audio aggiuntiva che si inserisce tra i dialoghi o nelle pause non importanti di film, serie TV ecc.. per spiegare a voce gli elementi visivi che altrimenti le persone cieche o ipovedenti non potrebbero cogliere (aspetto fisico, colori, ambientazioni…). È importante a questo proposito sottolineare che, come riportato da Joel Snyder, uno dei primi audiodescrittori al mondo, il cosa accade sullo schermo è tanto importante quanto il come accade: l’idea di fondo deve essere infatti quella di descrivere anche l’essenza di ciò che succede e non soltanto di fornire una mera descrizione, perché così facendo si andrebbe a togliere alle persone con disabilità la possibilità di godere veramente di un prodotto. È vero che la voce che narra l’audiodescrizione deve essere neutrale, ma ciò non significa che anche la narrazione debba esserlo.

L’obiettivo ultimo sarebbe quello di arrivare ad avere delle produzioni della cui filiera faccia già parte l’audiodescrittore: è per questo che in Paesi come Spagna, Regno Unito e Australia si spinge per la creazione della figura dell’accessible coordinator, per far sì che la cultura dell’accessibilità sia presente fin dalle prime fasi della lavorazione di un prodotto audiovisivo (e a questo proposito si ritiene importante anche citare la figura di Pablo Romero Fresco, figura di spicco in questo ambito, che sta lavorando proprio all’Accessible Filmmaking, una nuova forma di produzione di film che pone appunto l’accento sull’importanza di avere una figura del genere durante tutta la lavorazione del film).

Nella pratica però, i passi avanti menzionati dagli accademici sono presenti ma non sono ancora abbastanza: se è vero che esiste una legge che tutela l’accessibilità (legge Cinema del 2016) è altresì vero che questa non è stringente e che spesso e volentieri, anche se viene fatta un’audiodescrizione, questa è destinata a rimanere in un cassetto o a non rispettare standard qualitativi; assieme alla mancanza di audiodescrizioni infatti, le associazioni di categoria lamentano una scarsa qualità che, a detta loro, dimostra come questo genere di lavorazioni venga fatto solo perché lo impone la legge e non perché lo si ritiene davvero importante. Le richieste delle associazioni di categoria sono molto chiare: smettere di essere trattati da cittadini di serie B e avere la possibilità di godere di un film senza doversi sentire “grati” se una pellicola ha l’audiodescrizione. L’accessibilità dovrebbe essere considerata una spesa come le altre da inserire nei budget di produzione e dovrebbe essere regolamentata da un organo di controllo che si assicuri che qualsiasi film disponga di audiodescrizione, perché il cinema torni a essere uno strumento di inclusione. Un’inclusione che, è stato sottolineato, deve essere però implementata non soltanto nel settore audiovisivo, ma in generale perché le barriere non sono soltanto architettoniche ma anche e soprattutto umane.

Il quadro è chiaro: c’è modo di cambiare le cose, come dimostrano i successi già ottenuti, ma c’è bisogno di impegno e volontà perché la situazione cambi davvero. Una considerazione, questa, condivisa anche dai rappresentanti di alcune realtà dell’industria cinematografica che sostengono che, al netto dei passi avanti fatti, l’obbligo di produrre audiodescrizioni e sottotitoli per persone sorde ha desensibilizzato all’argomento; anche perché, e questo è un paradosso, c’è l’obbligo di produrre queste lavorazioni accessibili, ma non di distribuirle. Ci sarebbe quindi bisogno di una maggiore accortezza da parte delle istituzioni che, propone Lorenzo Lalle di 01Distribution, dovrebbero creare una commissione di revisione artistica e legislativa in materia, per assicurare a questa (larga) fetta di pubblico la stessa qualità di prodotto offerta alle persone non disabili. Tuttavia, come dicevamo, dei passi in avanti sono stati fatti e i numeri, soprattutto per la RAI e per alcune piattaforme streaming, lo confermano: basti pensare che la RAI audiodescrive almeno i tre quarti dei programmi di prima serata (all’incirca 1800 ore sui canali primari e 2500 sui secondari). In generale l’offerta accessibile è aumentata: dall’accessibilità social a quella in diretta di programmi come il Festival di Sanremo e la prima della Scala in RAI, passando per i programmi per bambini resi accessibili in audiodescrizione e in LIS su Tim Vision. Come dimostrano questi numeri e il costante incremento di prodotti accessibili in ogni ambito (si pensi ad esempio ai videogiochi accessibili della Novis Games che sono in fase di sviluppo), l’accessibilità interessa una larga parte della popolazione e un vasto numero di settori: allora perché non pensare, a livello istituzionale, a istituire magari un fondo che premi questo tipo di sforzo, un po’ come già succede a chi lavora per costruire una società più green?

In conclusione, la vera domanda è: al netto dei passi avanti fatti soprattutto in Europa, cosa aspettiamo ad agire perché queste persone smettano di sentirsi cittadini di serie B? Come più volte sottolineato durante la conferenza, i ciechi e gli ipovedenti pagano le tasse come tutti, quindi perché non hanno diritto come gli altri a determinate libertà, come quella relativamente semplice di poter scegliere un film invece che essere costretti alla scelta dalla presenza o meno di un’audiodescrizione?

La strada è quella giusta, ma è ancora lunga, molto lunga…

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