Il doppiaggio italiano: l’inizio

Il doppiaggio italiano: l'inizio

*cough cough* Allora… l’autrice vorrebbe mettere le mani avanti e annunciare che l’intento dell’articolo in questione vuole essere quello di raccontare gli inizi del doppiaggio italiano (immagino che il titolo fosse un indizio notevole, ma non si può mai essere troppo previdenti) e non quello di ammorbare con una lezione sulla storia del cinema. Con la speranza di essere riuscita a raggiungere l’obiettivo, diamo il via alle danze.

Come spesso accade, per poter parlare di un argomento, dobbiamo prima però fare un salto indietro nel tempo e fare un pit stop ai tempi del cinema muto: all’epoca, la comprensione del film era affidata alla gestualità e alla mimica degli attori e alle didascalie che comparivano tra una scena e l’altra per “dare voce” agli attori in scena.
Questi cartelli con poche e semplici righe di testo non sono altro che precursori di quelli che conosciamo come sottotitoli e, esattamente come nel sottotitolaggio moderno, potevano essere tradotti da una lingua all’altra in base al Paese in cui il film veniva distribuito.

Poi, all’inizio del XX secolo, il cinema viene rivoluzionato dall’arrivo del sonoro, un vero e proprio evento spartiacque nella storia della settima arte, che, come tutte le novità che sconvolgono, non viene inizialmente vista di buon’occhio; ecco perché molti Paesi iniziarono a imporre restrizioni ai film provenienti dall’estero. Per quanto riguarda l’Italia, il 1929 segna la prima messa al bando da parte del regime fascista di tutti i film non in italiano, una decisione presa allo scopo di tutelare gli interessi della cinematografia nazionale. Così, per correre ai ripari e garantire la distribuzione ovunque, le case di produzione internazionali (e in particolare americane) trovano due possibili soluzioni:

  • girare più versioni di una pellicola: usando lo stesso set, ma diversi cast, la pellicola viene girata più volte;
  • realizzare il doppiaggio del film: gli attori americani si auto-doppiano in lingua italiana. La prima casa a pensare a questa soluzione fu la Fox che, nel 1929, realizzò la pellicola “Maritati a Hollywood”, un film che purtroppo ci è arrivato incompleto; la prima pellicola completa doppiata risale invece a tre anni dopo, quando la Metro Goldwyn Meyer fa doppiare, sempre da attori italoamericani, il film “Carcere”.

Entrambe queste soluzioni non riscontrano però il favore del pubblico, eccezion fatta per il successo riportato dalle pellicole di Stanlio e Ollio,  che grazie alla comicità delle loro gag e all’accento italoamericano con il quale si auto-doppiano i protagonisti, scatenano l’ilarità nel pubblico italiano.

Oltretutto queste tecniche sono molte costose e, quando vengono messe al bando, le case di produzione passano definitivamente al doppiaggio: l’avanzamento della tecnologia, infatti, adesso permette di cambiare la colonna sonora senza dover rigirare tutto il film. Il doppiaggio viene dapprima affidato ad aziende interne alla stessa Hollywood, e poi in seguito a professionisti nel Paese in cui si intende distribuire il film; la casa di distribuzione Paramount decide quindi di aprire uno stabilimento di doppiaggio a Joinville, in Francia, nel quale doppiare film destinati alla distribuzione in Italia, ma anche in Germania, Francia, ecc. Questa decisione della casa americana viene inizialmente apprezzata anche nel Bel Paese, tant’è che il regime fascista accetta di mandare attori italiani (e in particolare teatrali) a doppiare.
La musica cambia però nel 1932 quando viene pubblicato un regio decreto che vieta la distribuzione di pellicole la cui sincronizzazione non sia avvenuta in territorio italiano; nasce così il primo stabilimento di doppiaggio presso la Cines-Pittaluga, considerata la migliore e più potente società cinematografica dell’inizio degli anni ’30. La direzione viene affidata all’esperto Mario Almirante, il quale sceglie attori teatrali dalla dizione pulita e tecnici con molta esperienza, tra i quali anche dialoghisti adattatori. Nel corso degli anni, poi, nascono ulteriori stabilimenti quali, tra gli altri, Fotovox e Fonoroma.

Il doppiaggio si rivela una scelta azzeccata, che riscontra il favore del pubblico, il quale essendo a maggioranza analfabeta, faticava (quando riusciva) a leggere le didascalie. Tuttavia, il primo stile di doppiaggio italiano è ben lontano da quello che adesso risuona nelle nostre case in quanto viene fatto “nel pieno rispetto della pronuncia romano-fiorentina [e con] l’adozione di un lessico decorosamente medio e largamente comprensibile”. Questa stasi della lingua del doppiaggio rimarrà fino, all’incirca, agli anni ’70, quando l’italiano doppiato si farà meno compassato e più aperto a sfumature e dialetti, adeguandosi così alla ricchezza e alla varietà del parlato del film originale, perché, citando Federico Fellini, uno dei più grandi del cinema nostrano, “il doppiaggio è come una seduta spiritica; i doppiatori sono dei medium che daranno un’identità a quelle ombre”.

A bocca chiusa

A bocca chiusa

Tre settimane.

Tre settimane di bocche chiuse e di microfoni spenti.

È passato quasi un anno ormai da quelle tre settimane di silenzio quasi assoluto, per non dire assordante che hanno quasi completamente fermato le sale doppiaggio italiane; per chi non lo ricordasse o perché chi non lo sapesse (Davvero? Anche se non lavorate nel settore, non ricordate la polemica sulla mancata uscita della versione doppiata del finale di The Last Of Us?) tra il febbraio e il marzo dell’anno scorso, le sale doppiaggio si sono fermate a causa di un lungo sciopero di circa tre settimane che ha visto coinvolte quasi tutte le maestranze che operano nel settore doppiaggio: dai doppiatori (da cui l’intera protesta è scaturita) ai fonici, agli assistenti al doppiaggio; eccezion fatta per poche e generalmente piccole realtà, la filiera si è fermata.

Alla base dello sciopero, c’era una richiesta: quella di tornare al tavolo per discutere il rinnovo del CCNL Doppiaggio, scaduto ormai da 15 anni, eppure ancora vigente; la contrattualistica non era andata di pari passo con il cambiamento e le maestranze del settore si trovavano a non essere più tutelate. Come è stato messo in chiaro da molte voci in numerose interviste rilasciate durante le tre settimane di sciopero, la questione andava però anche al di là della mera protezione personale: oltre alla richiesta di una migliore retribuzione e di tempistiche di lavoro più umane, infatti, per molti dei doppiatori coinvolti nello sciopero, la questione riguardava anche la dignità e la qualità del doppiaggio italiano, un settore che è sempre stato un vanto del nostro Paese. Se è vero che le ultime ricerche dimostrano che più dell’80% degli italiani predilige la visione di prodotti doppiati, è altresì vero, infatti, che negli ultimi anni si è riscontrato un calo della qualità del doppiaggio; un generale impoverimento che in molti hanno riscontrato non soltanto nella qualità dei dialoghi, ma anche nel lessico utilizzato e persino nella qualità dell’audio fornito.

Una situazione, questa, figlia però di un lento cambiamento che ha stravolto la filiera; mentre, negli anni ’90,  la lavorazione dell’edizione italiana di un film (comprensiva di adattamento dialoghi e doppiaggio) poteva essere anche di un mese e mezzo, in tempi più recenti, le tempistiche per lo stesso film si sono ridotte a mere due settimane, tre quando va bene. Viene quindi da sé che tutto ciò che prima veniva curato nei minimi dettagli (dall’adattamento dialoghi all’interpretazione dei doppiatori in sala), adesso è costretto a passare in secondo piano per lasciare spazio a una ricerca di aderenza alla voce e al senso originali che, in un momento non meglio specificato di questo processo, sono diventati gli elementi più importanti a cui attenersi.

E questo ci porta, a cascata, a parlare del secondo grande motivo dietro lo sciopero: ci diciamo sempre che la macchina non potrà mai rimpiazzare del tutto l’uomo perché soltanto l’uomo è capace di provare (e provocare) emozioni, ma se la qualità cala in maniera così drastica rendendo certi prodotti asettici, cosa impedirà all’intelligenza artificiale di rimpiazzare gli umani nella filiera? E a questo proposito, come si frena la sempre più preponderante presenza della macchina all’interno di un settore come quello del doppiaggio? Da sempre i doppiatori, per contratto, firmano una cessione dei diritti della propria voce che, finora, è servita a garantire la libertà alle case di produzione di utilizzare le voci doppiate a fine di marketing (si pensi ad esempio ai tagli operati al video per realizzare i promo dei prodotti); ma se nessuno si impegna a contrastare l’uso indiscriminato dell’IA, di cui già ci sono esempi online, cosa impedirà ad aziende e persino a privati di sfruttare le voci dei doppiatori per ulteriori fini? Può sembrare un problema per il futuro, ma è purtroppo un problema del presente: basti chiedere a Christian Iansante, voce, tra gli altri, del personaggio di Rick nella serie Rick e Morty, che ha trovato online degli estratti del cartone doppiati con la sua voce che lui però non ha mai registrato. E perché fermarsi a questo se l’IA sarà addirittura in grado di utilizzare sample di voci esistenti per crearne una nuova da poter usare indiscriminatamente?

Sebbene lo sciopero sia durato “solo” tre settimane, questo è bastato per riportare le parti al tavolo e così, dopo mesi di riunioni, il 6 dicembre 2023 si è giunti finalmente a un accordo, con la stipula del nuovo CCNL Doppiaggio, che potete trovare qui, sul sito dell’ANICA, Associazione Nazionale Industrie Cinematografiche Audiovisive e Digitali: Rinnovato il CCNL Doppiaggio.    
Nel comunicato stampa che ne ha dato notizia, il contratto viene definito “innovativo e adeguato ai tempi, articolato e migliorativo per le parti coinvolte. [La ratifica di suddetto contratto] adegua finalmente la normativa contrattuale del Settore Doppiaggio ai numerosi cambiamenti, anche tecnologici, avvenuti negli anni, con l’obiettivo di renderla quanto più attuale e concreta, esigibile e innovativa. Tra le novità qualificanti del nuovo accordo, l’inserimento di un intero articolo dedicato all’intelligenza artificiale, e l’aggiunta di un recupero salariale a fronte di una riduzione dei ritmi di lavoro, a favore di un miglioramento sostanziale della qualità della prestazione e quindi del prodotto finale.

Adesso che il problema sembra essere parzialmente risolto, almeno a livello normativo, in realtà, la domanda che la gran parte del settore si pone è la stessa che in molti si ponevano con l’accordo ponte precedente: quante realtà del settore si atterranno davvero alle nuove regolamentazioni, soprattutto per quanto riguarda le tariffe? A fronte di quanto ottenuto, la situazione rimarrà invariata o qualcosa cambierà davvero? 
        
Ai posteri (o forse semplicemente a noi tra qualche mese) l’ardua sentenza.

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