Sottotitoli automatici: croce o delizia?

Sottotitoli automatici:
croce o delizia?

Vi sarà sicuramente capitato di incappare in un reel di Instagram con i sottotitoli o, se siete più tecnologici di noi, di usufruire in prima persona della possibilità che molti social ormai offrono di inserirli per voi nei vostri video. Vi sarà altresì capitato di notare però che, in molti casi, questi sottotitoli presentano:

  • grammatica e/o sintassi incorretta;
  • inserimenti casuali di lettere maiuscole;
  • parole/espressioni che differiscono da quanto viene detto nell’audio (ci si riferisce, in particolare ma non esclusivamente, a parole straniere).

Per non parlare poi della forma in cui spesso questi sottotitoli si presentano:

  • il testo si può interrompere in qualsiasi momento, a seguito di un qualsiasi elemento grammaticale e senza alcun utilizzo di punteggiatura;
  • in caso di video lunghi o molto lunghi (come può capitare di trovare su Youtube), il testo compare in modo continuativo, senza pause o interruzioni di alcun tipo, anche al cambiare di argomento.

Qui di seguito ve ne riportiamo un esempio estratto da un’intervista di “Passa dal BSMT” che potete trovare online:

La loro creazione è opera della Macchina, dell’intelligenza artificiale e di software di riconoscimento vocale che, adeguatamente istruiti, trascrivono l’audio dei video e generano automaticamente, appunto, i sottotitoli, anche se, come detto, in modo spesso incorretto.

Ma se sono così incorretti, allora perché dare la possibilità agli utenti di usufruirne?

  1. In primo luogo, per una questione molto poco altruistica: il marketing e l’engagement del pubblico; stando infatti ad alcuni studi, la possibilità di leggere il testo incrementa il tempo medio di interazione dell’utente con una storia o un post;
  2. In secondo luogo, per una questione di aumento della fruizione del prodotto (che, ammettiamolo, è comunque strettamente correlata all’incremento dell’interesse del pubblico): a detta dei più, l’aver aggiunto la possibilità di inserire i sottotitoli automatici su ogni qualsivoglia forma di video o reel online rappresenta un passo in avanti da un punto di vista dell’accessibilità, in quanto permette a chiunque di usufruire di un qualunque contenuto (ci si riferisce, tra gli altri, a persone straniere, a persone sorde o ipoudenti, o, più in generale, a persone che in un dato momento non possono avere accesso all’audio del contenuto).

Noi saremo sicuramente di parte, ma vale davvero la pena di lasciare fare totalmente alla macchina il lavoro che potrebbe svolgere un essere umano? L’intelligenza artificiale non è (ancora) in grado di comprendere appieno sfumature vocali, contesti specifici o, tra le altre cose, riferimenti culturali, e conseguentemente compie errori che inficiano o persino impediscono la totale fruizione degli stessi sottotitoli. A questo si aggiunga che, in alcuni casi, il lavoro della macchina è talmente errato da dover richiedere l’intervento umano per correggere gli errori commessi.

Allora, da un punto di vista meramente lavorativo, ci chiediamo se valga davvero la pena di far lavorare la macchina al posto dell’uomo se poi quello stesso uomo è costretto a correggere la macchina; la questione economica sicuramente salta all’occhio in questo contesto, ma non varrebbe forse la pena di fare uno sforzo economico in più per fornire un servizio migliore? E a questo proposito, chi fornisce questo servizio racconta al mondo di fornirlo anche, e soprattutto, per questioni di servizio pubblico/accessibilità, ma è davvero questo quello che si ottiene se il servizio offerto non è corretto e dunque totalmente fruibile da parte dei destinatari?

Il sottotitolaggio “per uso interno”

Il sottotitolaggio "per uso interno"

Chi di noi può affermare di non avere (almeno) un abbonamento, personale o condiviso, a una piattaforma streaming? Chi non hai guardato un film o una serie tv su una delle innumerevoli piattaforme (legali, si intende) che nel tempo sono entrate nelle nostre case? Eppure, non è passato poi così tanto da quegli anni (bui, direbbe qualcuno) in cui per poter vedere alcuni programmi non disponibili in Italia bisognava ricorrere a siti di dubbia legalità.

Se vi state chiedendo cosa c’entra questo preambolo col tema dell’articolo, bear with me e a breve capirete.

Era l’epoca di Megavideo (chi si ricorda “Sono veramente euforico”?), dei download da Emule (per gli hacker più esperti), e delle ore passate ad aspettare l’uscita di un episodio di serie tv o di anime con i sottotitoli in italiano, spesso prodotti da fansubber? Per chi come me era solito usare siti del genere, era anche l’epoca delle battute a suon di “ti immagini, in un universo parallelo, gli americani che aspettano ore davanti al PC per vedere una puntata con i sottotitoli in inglese di, che ne so, Elisa di Rivombrosa?”. Ed eccoci qua: a noi di Associazione RestART è successo davvero di dover produrre sottotitoli dall’italiano all’inglese di una produzione tutta italiana e per un pubblico (ristretto) di americani!

Se adesso invece vi state chiedendo cosa ci sia di strano in questo, visto che non si tratta di una situazione così rara, ve lo spiego subito. I nostri sottotitoli non erano destinati al “solito” festival cinematografico internazionale (come la Mostra del Cinema di Venezia o la Festa del Cinema di Roma), dove la sottotitolazione in lingua inglese viene infatti richiesta esplicitamente affinché il film possa entrare in gara, per poter garantire la comprensione anche a un pubblico internazionale. Questa volta erano destinati, citando il cliente stesso “a un uso interno”, termine a noi fino ad allora sconosciuto; a seguito di una nostra richiesta di chiarimenti (visto che non si smette mai di imparare), abbiamo quindi scoperto che si trattava di un tipo di lavorazione destinata ai produttori/ai dirigenti/a chi di dovere negli uffici di Disney in America.
Mi spiego meglio: quando piattaforme del genere hanno a che fare con produzioni non americane, viene richiesto che la società di produzione incaricata di occuparsi della lavorazione si preoccupi di fornire non soltanto il prodotto audiovisivo, ma anche -nel caso in cui il prodotto sia girato in una lingua diversa dall’inglese- dei sottotitoli, per così dire non ufficiali, così da garantire la comprensione anche al ristretto pubblico di dirigenti che poi dovranno dare il via libera alla messa in onda del prodotto stesso.

Una volta ultimato e completato il progetto, abbiamo aspettato mesi prima di poter parlare pubblicamente di questa lavorazione, ma nel mentre un dubbio si è insinuato dentro di noi: che fine hanno fatto i nostri sottotitoli? Dalla produzione ci avevano assicurato che non sarebbero stati utilizzati sulla piattaforma e che ci avrebbe pensato la stessa Disney+ a rilavorare i nuovi sottotitoli, ma ancora oggi non siamo totalmente certe che questo sia davvero avvenuto e, purtroppo, non siamo riuscite ad avere riscontro da nessuno sull’argomento.

E qui si apre quindi una nuova questione: non sarebbe giusto iniziare a pensare di trovare un modo per poter tutelare anche le sottotitolazioni come già accade per l’adattamento dialoghi al fine di garantire quanto meno la paternità dell’opera? 

Vedremo se e come si evolverà la questione nei prossimi anni… 

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