Adattamento dialoghi e doppiaggio: croce e delizia del cinema!

Adattamento dialoghi e doppiaggio:
croce e delizia del cinema!

Come avrete avuto modo di notare dai nostri social (ci seguite, vero?), abbiamo dedicato questo mese alla voce, alla giornata mondiale che la celebra e -in senso più ampio- al doppiaggio; ed è proprio su questo settore che vogliamo tornare a concentrarci, dedicando l’articolo di aprile all’adattamento dialoghi. Tuttavia, piuttosto che tediarvi con un articolo lungo e forse troppo tecnico, abbiamo deciso di proporvi un assortimento di doppiaggi (e talvolta di brevi esempi da essi tratti) con i quali vi dimostreremo quanto il lavoro del dialoghista adattatore sia al contempo importante e difficile: al netto della scelta delle voci dei doppiatori, il successo o meno di un prodotto può dipendere anche quasi interamente dalle trovate creative del dialoghista che, quando si rivelano azzeccate, possono addirittura andare a migliorare il prodotto di partenza. 

A questo proposito, vi è mai capitato di guardare  Le Follie dell’Imperatore in lingua originale? Vi sarete presto accorti che in inglese il film raramente riesce a causare ilarità nello spettatore, mentre in italiano è un concentrato di risate; questo grazie al doppiaggio, oltre a un adattamento che non adatta mai veramente ma stravolge l’originale. (Nota personale: un grazie di cuore a chiunque abbia avuto la geniale idea di accostare a grandi voci come Adalberto Maria Merli quelle di attori come Luca Bizzarri, Paolo Kessisoglu e Anna Marchesini. Quando si dice “una scelta che paga”!)

A volte invece, purtroppo aggiungerei, la scelta delle voci viene operata pensando solo alla velocità di lavorazione e ai costi. E si vede… anzi si sente! È il caso del film L’altra metà, uscito su Netflix nel 2020, e diventato immediatamente virale per la bruttezza del doppiaggio italiano. Complice infatti la pandemia, Netflix decise di far doppiare il film in italiano a persone italo-americane che, evidentemente, aveva in quel momento a disposizione in loco ed ecco così spiegata la presenza di un musicista e di un registra tra i “doppiatori” della prima versione del film. Fortunatamente, facendo seguito alle lamentele degli spettatori italiani, il 14 maggio di quello stesso anno il film è stato ricaricato sulla piattaforma con un doppiaggio ad opera di doppiatori professionisti.

E se parliamo di voci e doppiaggi, come non citare un assoluto capolavoro del doppiaggio italiano a opera di Maldesi e De Leonardis, ovvero Gli Aristogatti? Questa pellicola Disney è un esempio di adattamento praticamente perfetto: dalla scelta di far parlare gli animali con diversi dialetti (i cani da guardia Napoleone e Lafayette parlano milanese, mentre il protagonista Romeo er mejo der Colosseo parla ovviamente romano) all’adattamento dei nomi. Sia chiaro, quest’ultimo aspetto non è una scelta operata dall’adattatore, ma era all’epoca una politica Disney: i cartoni animati andavano adattati il più possibile al Paese in cui poi sarebbero stati trasmessi. Così, per assicurarsi che funzionassero per il pubblico italiano, si è andati a operare un adattamento anche dei nomi, anche se soltanto per quanto concerne gli animali. Così, solo per citarne alcuni, i tre gattini protagonisti hanno cambiato nome da Marie, Toulose e Berlioz in Minou, Matisse e Bizet e il motivo è molto semplice: si è scelto di sostituire i riferimenti originali alla regina Maria Antonietta, al pittore Toulose-Lautrec e al compositore Hector Berlioz in quanto si è ritenuto che potessero essere troppo oscuri per il pubblico italiano, preferendogli riferimenti ritenuti molto più chiari. Nel caso invece delle oche così belle da sembrare cigni (semicit.) Abigail e Amelia, si è scelto di modificarne i nomi, sostituendoli con due nomi ideali -nell’immaginario collettivo- per due zitelle incallite: Adelina e Guendalina; anche il cognome delle due non è casuale: visto infatti che l’originale Gobble rimanda all’onomatopea tipica dell’animale che starnazza nell’aia (anche se, per la precisione, rimanda in particolare a un tacchino), in italiano lo si è andati a sostituire con l’onomatopea tipica di parla troppo: Blabla.

Qualche volta però non è sufficiente sostituire l’espressione originale con la sua traduzione italiana, seppur corretta, come ci dimostra l’esempio riportato qui sotto, tratto dal film Indiana Jones e il regno del teschio di cristallo, quarto capitolo della saga dedicata al celeberrimo archeologo. Quando il protagonista elimina un assalitore, lo studente interpretato da Shia LaBeouf, stupefatto, gli chiede, in inglese:

  • You’re a professor? 
  • Part-time.

Mentre in italiano chiede:

  • E tu saresti un professore?
  • Qualche volta.              

La traduzione è corretta? Sì. È anche di impatto? Non troppo.          
L’ironia di quel “part-time” pronunciato dal professore non riesce, infatti, a essere veicolato dalla traduzione “qualche volta” che, per quanto corretta, risulta -come dire?- scolastica. E se è vero che il film è ambientato nel 1957 e quindi mantenere il termine “part-time” sarebbe risultato anacronistico, è altresì vero che questa soluzione risulta fiacca. Al contrario, invece, la scelta traduttiva operata per la domanda dello studente lascia trasparire perfettamente il senso di stupore veicolato dalla scena; in questo caso, addirittura, la domanda funziona meglio in italiano che in inglese dove, tradotta letteralmente, lo studente chiede semplicemente: “Sei un professore?”

Come abbiamo visto dunque, il lavoro del dialoghista adattatore non è assolutamente semplice: è un costante gioco di equilibri tra creatività e fedeltà all’originale, attenzione alle immagini e adattamento alla cultura di arrivo. A volte ne escono dei capolavori indimenticabili, a volte (decisamente) no. Si potrebbe obiettare che non è sempre interamente colpa dell’adattatore, ma questa è un’altra storia…

I sopratitoli a teatro

I sopratitoli a teatro

Quando si parla di traduzione audiovisiva, si pensa istintivamente al doppiaggio dei film (settore in cui l’Italia eccelle) o ai sottotitoli interlinguistici e intralinguistici che ormai ogni piattaforma offre ai propri utenti.  Ciò che raramente invece avviene è che questa espressione venga associata a un teatro o a un anfiteatro, luoghi dunque adibiti alla messa in scena di opere teatrali o persino liriche. Per quanto questo specifico ambito esuli dalle conoscenze di chi scrive, nella giornata internazionale del teatro ci sembrava doveroso spendere qualche parola per raccontare un tipo di lavorazione tra le meno conosciute del settore, ma non per questo meno difficoltosa o meno degna di nota: la sopratitolazione teatrale, intesa come la trascrizione o l’adattamento in una lingua diversa da quella originale, di un testo cantato o recitato dal vivo, durante una rappresentazione teatrale e proiettato o trasmesso elettronicamente su uno o più schermi, il principale dei quali si trova in genere sopra il proscenio nel boccascena.

La sua origine          
La sua storia inizia in epoca recente, e in particolare comincia nel gennaio 1983, in Canada, quando il direttore artistico della Canadian Opera Company decide di proiettare sul proscenio le didascalie con la traduzione del libretto dell’“Elektra” di Strauss, rappresentata in lingua originale. L’esperimento si rivela un successo e, nonostante qualche oppositore, questa tecnica si diffonde velocemente prima in America e poi in Europa, dove arriva per la prima volta nel 1986 a Firenze.

La lavorazione
Diversamente da quanto avviene per i sottotitoli televisivi o cinematografici e a prescindere che si tratti di una lavorazione intralinguistica o interlinguistica, la creazione dei sopratitoli passa per tre fasi:

  • Traduzione (quasi) letterale;
  • Traduzione del libretto, che sarà disponibile a teatro nei giorni precedenti la messa in scena;
  • Traduzione dei sopratitoli: fase più complessa della lavorazione in quanto prevede la traduzione e l’adattamento dei sopratitoli di pari passo alle prove generali dell’opera. In questa fase in particolare si va a lavorare sullo snellimento del testo originale, andando, ad esempio, a privarlo di un’eccessiva aggettivazione per rendere più semplice e fluida la lettura. 

Obiettivo dei sopratitoli
La creazione dei sopratitoli è volta, così come quella dei sottotitoli, a semplificare la comprensione del testo cantato, rendendo così più fruibile lo spettacolo. Al netto, infatti, di un pubblico che generalmente si approccia all’opera conoscendo già trama e testo, risulta talvolta di difficile comprensione ciò che gli attori stanno recitando; ecco così spiegata, tra le altre cose, l’esistenza dei sopratitoli intralinguistici, che numerosi teatri in Italia adoperano anche per opere in italiano. Lo scopo ultimo è dunque quello di trasmettere al pubblico sia il contenuto del testo sia i sentimenti dei personaggi, cercando di andare a tagliare meno informazioni possibili, laddove non sia necessario per limitazioni tecniche.

I maggiori pro e contro della sopratitolazione
Uno dei pro di questo tipo di traduzione audiovisiva l’abbiamo appena citato ed è, evidentemente, il fatto che l’esistenza del sopratitolo aiuti la fruizione da parte del pubblico, così come – venendo a un secondo aspetto a favore – il fatto che la posizione degli schermi intorno al palcoscenico, siano essi posizionati sopra il proscenio o ai lati, favorisce l’accesso agli stessi da parte di tutti gli spettatori, ovunque essi si trovino seduti.

D’altro canto, però, proprio gli schermi sono al centro delle critiche da parte dei detrattori di questa tecnica. Lo schermo, secondo loro, presenta infatti due gravi difetti: da un lato, lo schermo al LED crea una luce che distrae, più o meno parzialmente, lo spettatore, mentre dall’altro la sua dimensione ristretta non permette la traduzione in più di una lingua; questo secondo aspetto risulta di particolare gravità in Paesi nei quali non vi sia una sola lingua nazionale (come in Belgio), dove si crea dunque una disparità di comprensione negli spettatori a seconda della lingua utilizzata.

Il ruolo del proiezionista
Per concludere veniamo al ruolo del proiezionista, che talvolta può persino coincidere con quello del traduttore. Il suo lavoro, il quale consiste nel proiettare manualmente le didascalie sugli schermi, nasconde un’insidia non di poco conto; come abbiamo visto, la traduzione dei sopratitoli avviene di pari passo con le prove generali dell’opera, ma per quante prove si possano fare, l’imprevedibilità della rappresentazione dal vivo rischia di creare dei problemi. Per questo viene richiesto al proiezionista, anche qualora non sia il traduttore, di conoscere non soltanto bene l’opera ma anche la lingua in cui l’opera è rappresentata: questo perché deve essere in grado di distinguere precisamente il momento nel quale far entrare/cambiare/far uscire la didascalia a schermo.

E voi avete mai assistito a un’opera che presentasse i sopratitoli?
Da che parte state, pro o contro?

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