Siamo ai titoli di coda?
Pubblicato da Associazione Restart il
Siamo ai titoli di coda?
Sono passati quasi quattro mesi da quel giugno 2024 quando, riuniti sotto lo slogan “Siamo ai titoli di coda”, migliaia di lavoratori del settore audiovisivo italiano si sono mobilitati per portare all’attenzione delle istituzioni e del grande pubblico le preoccupanti condizioni in cui versa il comparto. E a dirlo non sono solo i partecipanti al corteo, ma anche le cifre: secondo quanto riportato da un sondaggio dello stesso mese a cui hanno risposto circa 3000 lavoratori, il 60% di loro risulta disoccupato; al netto del fatto che avere 3 su 5 lavoratori a casa sarebbe un dato preoccupante in qualsiasi circostanza, il dato risulta ancora più allarmante se si considera che il sondaggio è stato somministrato in quello che, generalmente, è uno dei periodi più indaffarati dell’anno.
La richiesta, dunque, è chiara e a parlarne è il rappresentante dei lavoratori, Scognamiglio: i manifestanti richiedono un “sostegno economico per i lavoratori in difficoltà da parte dello Stato, a fronte del ritardo nell’emissione dei decreti e conseguente rallentamento delle attività produttive che comportano una grave perdita sia in termini economici che in termini di anno contributivo a fini pensionistici. Chiediamo, inoltre, di avere regole chiare, con revisione e approvazione dei decreti attuativi, ammortizzatori sociali dedicati che mancano al settore, e di arrivare a un contratto collettivo nazionale, che manca da 25 anni.” A giugno, questa prima mobilitazione si era conclusa con un incontro con le istituzioni che si erano dette disponibili ad aprire un tavolo per migliorare i decreti attuativi, mettendo in chiaro però che le tempistiche tecniche per questo genere di discussioni non erano quantificabili. E infatti, ad oggi, non ce n’è stata ancora traccia.
A sentire i manifestanti, questo blocco delle produzioni trova le sue radici nella pandemia, ma è andato solo peggiorando a causa della gestione governativa che «ha bloccato il tax credit e, soprattutto, non ha ancora pubblicato i decreti attuativi del nuovo provvedimento che regolamentano i finanziamenti dei prodotti del mondo dell’audiovisivo», creando quindi condizioni tali per cui nessuno se la sente di assumersi i rischi per mettere in produzione nuovi progetti. E se è vero che l’impatto della pandemia si è fatto sentire, negli ultimi anni, l’intera filiera ha registrato alcune tendenze che hanno modificato le dinamiche interne e, di conseguenza, l’intero settore:
- Esiste un monopolio nel cinema? E se sì, in mano a chi è?
Un vero e proprio monopolio non esiste (ancora), ma sicuramente negli ultimi anni c’è stata una progressiva concentrazione delle quote di mercato sia per quanto riguarda la produzione che la distribuzione; stando ai dati Cinetel del 2023, infatti, “i film italiani (anche in co-produzione con società estere) hanno incassato poco meno di 121 milioni di euro (24,3% del totale), e di questi l’80% (circa 88 milioni) è riconducibile a 01 Distribution, Vision e Medusa e solo il restante 20% agli altri distributori.” A questo, si aggiunge la sempre più diffusa pratica di acquisizione di piccole e medie società da parte di grandi conglomerati, e la sempre crescente diffusione delle piattaforme digitali che, oltre a offrire nuovi prodotti, rendono fruibili contenuti prodotti da altri. - Lo Stato cosa fa?
Nel 2016, l’allora ministro della cultura Franceschini istituì la cosiddetta Legge Cinema volta a creare il “Fondo per lo sviluppo degli investimenti nel cinema e nell’audiovisivo”, stabilendo anche i criteri per l’attribuzione delle risorse. Tra i principali strumenti forniti da questa legge, troviamo: il tax credit, ovvero un credito d’imposta riconosciuto alle società di produzione e di distribuzione, pari a una percentuale tra il 15 e il 40% del costo sostenuto e i “contributi selettivi” riconosciuti dal Ministero per opere prime, seconde e di particolare qualità artistiche. Nel grande schema delle cose, seppur ognuno con i propri difetti, questi strumenti sono stati cruciali per il rilancio del settore. Tuttavia, tra l’aprile e il luglio di quest’anno, il nuovo governo ha prima progettato e poi attuato un decreto ministeriale con il quale si è andati a tagliare le risorse del Fondo di 50 milioni rispetto al 2023 e a modificare i criteri di accesso al tax credit, portandoli da “neutrali” quali erano, e quindi accessibili a tutti, a estremamente selettivi, andando in pratica a escludere tutta una serie di società di produzione.
N.B. È giusto sottolineare che, con questi nuovi criteri, la maggior parte dei tanto acclamati film italiani presentati quest’anno alla Mostra del Cinema di Venezia non sarebbe stata prodotta.
Queste nuove disposizioni del governo hanno dunque portato al favoreggiamento delle (già) grandi multinazionali di produzione e distribuzione, andando a inficiare la sopravvivenza di piccole e medie società e a limitare ancora di più il lavoro di autori e registi, mettendo così a repentaglio la libertà di espressione, oltre che migliaia di posti di lavoro.
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